Non parliamo di Bruno, promesso
Però parliamo di rappresentazione. E di come le cose lentamente cambino.
Facciamo un gioco.
Se io dico Colombia, quali sono le immagini che ci corrono alla mente?
A seconda della generazione a cui apparteniamo potremmo pensare a uno stato fallito violento, metà baraccopoli e metà giungla, dove si produce la maggior parte del caffè che beviamo in Italia e che ha dato i natali a due personaggi piuttosto noti, almeno per la generazione Netflix: Pablo Escobar e Gloria di Modern Family, interpretata da Sofia Vergara.
Tutto qui? Purtroppo, più o meno sì.
Perciò, quando è uscito “Encanto” - in sala e su Disney + - memore delle problematiche legate alla rappresentazione delle culture made in Disney, temevo il peggio. Non credo basti il disclaimer che campeggia per dieci secondi all’inizio dei film con scene, come dire, non propriamente rispettose di culture percepite come altre o minoritarie. Se non altro, però, contribuisce ad accendere un dibattito intorno agli stereotipi con cui bambini e ragazzi si confrontano prestissimo nelle loro vite. Ho una buona notizia: come i nostri figli guardano al mondo dipende da noi, dalle parole che usiamo per descriverlo e dalle azioni che compiamo per rispettare gli altri. Quindi, passiamoli quei dieci secondi a spiegare il perché delle cose.
Image via Buzzfeed, @Disney
Encanto, dicevo, racconta la storia di Maribel Madrigal, una giovane donna colombiana che è l'unica nella sua famiglia magica a non avere poteri. Quando scopre che la loro magia è in pericolo, intraprende un viaggio per salvare la sua famiglia e la loro casa.
Non mi addentro nella narrazione e nell’uso del realismo magico ma mi soffermo su qualcosa di molto importante: il tema della rappresentazione nei prodotti di intrattenimento.
Un rapporto del 2021 di Common Sense intitolato "L'imperativo dell'inclusione: perché la rappresentazione dei media è importante per lo sviluppo etnico-razziale dei bambini", ha rivelato che i prodotti che i bambini consumano svolgono un ruolo importante nel loro senso di identità.
I media hanno una profonda influenza su come vediamo, comprendiamo e trattiamo le persone, in particolare quelle all'interno e\o diverse dalla nostra razza o etnia e quanto più siamo esposti a prodotti diversificati tanto più acquisiamo competenze in quel senso e riusciamo a consolidare la nostra identità. Sappiamo di esistere.
Lo dico perché io, ad esempio, non mi sono mai riconosciuta in nessuna delle principesse Disney. Mi piacevano e adoravo le storie, ma non parlavano a me. Delicate, sempre bellissime, passavano il tempo a sventolare i capelli, ad arrossire e a sbattere le ciglia, in attesa di questo o quel principe che desse loro un senso.
Encanto parla di famiglia e lo fa attingendo a piene mani dalla cultura latina, con cui risuona nei passaggi domestici e in quelli relazionali. Lo dobbiamo a Charise Castro Smith, la prima donna latina a co-dirigere un film dei Walt Disney Animation Studios che ha inserito la sua personale prospettiva di bambina, cresciuta in una famiglia cubano-americana. Mirabel, la protagonista, è un personaggio unico, imperfetto e assolutamente umano, che parla delle esperienze di così tante persone latine, e allo stesso tempo, è riconoscibile per il pubblico di tutto il mondo.
Dal lancio del film sempre più persone hanno iniziato a riconoscersi sullo schermo e, grazie ai social media, le loro storie sono state finalmente raccontate.
Il primo è stato un bimbo di due anni, Kenzo Brooks, che si è visto come un in uno specchio grazie al personaggio di Antonio.
"Riusciva a vedere qualcuno che gli somigliava", ha detto il suo papà a ABC7 New York. “Mi ha commosso pensare che mio figlio fosse in grado di vivere questa esperienza. Penso sia fantastico per così tanti ragazzi e ragazze neri poter vivere la stessa cosa”.
Poi è arrivata Manu Araújo Marques, una bambina brasiliana che sembra la copia identica di Mirabel. “Sono io!” dice alla sua mamma indicando lo schermo. "Non c'è niente di meglio che vedere la gioia di tuo figlio, soprattutto nell’essere rappresentato in un film Disney!" ha detto sua madre a Buzzfeed. “La mia più grande paura quando ho saputo che Manu avrebbe indossato gli occhiali era il bullismo a scuola. Ma nel corso del film, ho completamente cambiato idea e ho visto che anche le principesse indossano gli occhiali!”
Sì, Maribel è la prima protagonista di un film Disney ad indossare gli occhiali. Pensateci. Pensate a questa cosa.
E poi c’è Maribel Martinez, una donna che assomiglia tantissimo alla sorella muscolosa di Mirabel, Luisa, e che come lei è forte e fiera di com’è.
È per questo che i media, in tutte le loro forme, hanno un immenso potere di plasmare le idee. La televisione, i film, la pubblicità e i prodotti digitali possono influenzare il modo in cui vediamo gli altri e come vediamo noi stessi. Una rappresentazione accurata e autentica può abbattere le barriere, aprirci a nuove idee, essere di ispirazione e creare potenti modelli di ruolo.
Abbiamo necessità di discostarci dalle narrative imperanti perché riflettono solo in minima parte ciò che siamo come umanità.
La rappresentazione (e la rappresentanza, ovvero il numero di volte in cui vediamo un determinato modello ripetersi) influisce su ciò che le persone possono diventare. Su cosa possono sognare, chi decideranno di essere.
I personaggi femminili di "Encanto" divergono piacevolmente dalla lunga storia Disney di figure sessualizzate simili a Barbie col girovita troppo stretto (Cenerentola e Biancaneve, su tutte). Anche se non impugnano scope o strofinacci hanno bisogno di essere salvate dal bacio di un uomo (La bella addormentata" Ariel in "La sirenetta", La principessa Jasmine in “Aladdin"); se sono supereroine che salvano la situazione (come Oceania o Pocahontas) sono ancora figure formose con grandi seni, proporzioni irreali, capelli lunghi e mediamente pochi vestiti.
Mirabel è un’antieroina con una fisicità normale, non è sessualizzata e indossa gli occhiali. È geek e un po’ introversa, con le lentiggini sul naso e le sopracciglia folte. Luisa è una donna forte, con muscoli sporgenti e un comportamento che chiameremmo poco femminile. Sarebbe senza dubbio un uomo in qualsiasi altro film, ma è una donna che sembra avere un'espressione di genere più maschile, che ama i lavori manuali ed è brillante. E che va benissimo così.
Come abbiamo potuto dimenticare tutte queste donne, tutti questi bambini e bambine? Perché non le abbiamo fatte vedere?
Un personaggio come Luisa mi avrebbe aiutato a non sentirmi così sbagliata, da piccola. Mi avrebbe mostrato che si poteva divergere e che era giusto. Accettato. Che il mondo ha posto per chiunque e che ci sono molti più Antonio e Mirabel che Ariel e Cenerentola e che finalmente avrebbero avuto qualcuno con cui identificarsi.
Abbiamo bisogno, più che di eroi, di modelli di ruolo.
E ne abbiamo bisogno in tutta la comunicazione che produciamo perché abbiamo la responsabilità delle rappresentazioni che diffondiamo.
Lo so che il washing è dietro l’angolo e che se i marchi non si mettono in testa che la rappresentazione è solo il punto di partenza verso un’evoluzione etica non avranno grande fortuna.
Ma personalmente sono felice di aver visto il primo arto prostetico in una adv di Amazon o un modello con la vitiligine su Zalando. Perché significa che dall’altra parte dello schermo di un computer qualcunə potrà dirigere i propri acquisti verso prodotti che lə fanno sentire vistə e compresə, normalizzando ciò che fino ad oggi è sempre stata la devianza dalla norma.
Un mondo pensato per le persone bianche, magre, abili, eterosessuali e cisgender che non si è mai curato, dalla progettazione alla commercializzazione e alla promozione, della moltitudine di persone che bianche, magre, abili, eterosessuali e cisgender non sono.
E che però si vestono, viaggiano, comprano, amano persone e luoghi e fanno esperienze, che non sono soltanto quelle CX che come sempre mettiamo nelle slide.
Dicono che chi si ricorda di noi lo fa non per cosa diciamo ma per come lə facciamo sentire.
Dev’essere per questo che il merchandising di Luisa sta vendendo molto di più di quello di Isabella.
Go figure, huh?