All Is Full Of Cringe
Se hai dovuto cercare su Google "cringe" dopo aver letto il titolo, forse in questo articolo parlo di te.
Tutto iniziò con quell’insulso stile di scrittura che ho scoperto chiamarsi “broetry”.
So che li hai visti anche tu, questi post.
All’inizio non ci fai caso.
Ma compaiono sempre più spesso.
Una riga d’apertura che ti fa dire: aspetta, voglio sapere che succede
Un’altra riga un po’ patetica, una situazione difficile in cui pensi: e ora?
Ora c’è la conclusione in cui diventi CEO, fatturi 200 miliardi di paperdollari, vieni quotato in borsa.
Congratulazioni: hai appena letto un broem.
Dicevo, tutto è iniziato così, più o meno verso il 2016, quando nella mia bolla Linkedin un po’ di gente casuale ha cominciato a scrivere post in questo modo. Nella forma e nel contenuto. Ci ho messo un po’ a capire cosa non mi tornasse e, nel frattempo, i broems si sono moltiplicati. Qualche fantomatico guru del socialmediacopywriting deve aver fatto un bel po’ di soldi insegnando a scrivere in questo modo.
Il punto è che- al di là dello stile- questi contenuti hanno due peculiarità: la prima, ogni volta sembrano storie inventate, di quelle che ti fermi davanti al monitor con un sopracciglio alzato e pensi: dai, non può averlo scritto e dai, nessuno può davvero crederci. La seconda: hanno sempre un’aurea aneddotica e motivazionale, gridano letteralmente “sono migliore di voi ma non voglio dirvelo apertamente”. Dovete dirmelo voi. Mettete mi piace, commentate, come si può rimanere indifferenti davanti a una storia come questa?
Ero in ritardo per andare al lavoro
La macchina non partiva
Ho pensato che mi avrebbero licenziato
Sono arrivato davanti al portone dell’edificio
In quel momento ho visto un senzatetto
L’ho aiutato a raccogliere le cose che erano cadute dal suo carrello
Proprio mentre arrivava il mio capo
Che ha deciso che meritassi una promozione
Fare del bene paga sempre, non c’è un momento giusto.
Questa roba genera engagement (ti costringe a cliccare su “altro”, a fermarti, a commentare), si legge ottimamente sugli schermi piccoli, ha un bel clickbait d’apertura, contiene sempre una situazione strappalacrime e poi il rovesciamento finale, il lieto fine, dio quanto ci piacciono queste cose.
Siamo nel 2022 e posso affermare con una certa sicurezza che Linkedin sia il regno del cringe.
Persone che si congratulano con se stesse per i risultati raggiunti. Persone che si congratulano con altre persone per anniversari lavorativi (senza nemmeno fare lo sforzo di modificare il messaggio pre impostato). Persone che piangono in mondovisione perché hanno fallito e si sono rialzate, persone che postano indovinelli matematici da seconda elementare. Persone che usano parabole- si, nel senso religioso del termine- per farsi applaudire. Persone che condividono (ancora) la foto del branco di lupi dopo che è stata debunkata da almeno 10 anni. Sotto, ci troverai migliaia di commenti che in sostanza dicono sempre la stessa cosa: dovremmo prendere esempio dai lupi, dovremmo trasformare le aziende in branchi di lupi.
Il problema è che i branchi di lupi non funzionano affatto così.
Cringe.
Persone che piegano altre discipline in una narrazione distorta che possa giovare alla propria.
Cringe.
Persone che strumentalizzano: il collega gay, la collega con cancro al seno, il figlio del capo, la zia che da bambino era l’unica a credere in lui e il ricordo delle cui parole l’ha reso il manager empatico e gentile (non dimenticate il fiorire di manager gentili) che è oggi.
Cringe.
E poi un sacco di persone che ce l’hanno fatta. E ti spiegano che puoi farcela anche tu se solo lo vuoi. I coach. I recuiter. Tutti così empatici. Tutti con le persone al centro. Tutti così umani.
Poi ti fai un giro nelle aziende e beh, ecco, non ci troverai nessuno di loro.
Linkedin è il regno del cringe e il regno del fake. E la colpa è di Linkedin stesso. Negli ultimi due anni la piattaforma ha investito moltissimo in programmi per creators. Sì, come Instagram e Tik Tok.
LinkedIn utilizza lo stesso sistema di facilitazione nel rilascio della dopamina di tutte le altre piattaforme. Quando le persone pubblicano questi aggiornamenti terribili e traballanti e ottengono 10.000 Mi piace, il che è estremamente comune, viene loro insegnato di continuare a farlo. Ma pochissime persone ne sono consapevoli: in genere, l’utente conosce l’utilizzo, non il funzionamento.
E questa sorprendente mancanza di consapevolezza è nutrita e acclamata dagli altri utenti, che ti prendono a modello e vogliono arrivare dove sei tu. Così, la moltiplicazione dei contenuti cringe e fake è facilissima.
Il fatto che le persone siano costantemente alla ricerca di affermazione sociale non è un effetto collaterale, ma una causa. Non una conseguenza, ma lo starting point. E la mia domanda, forse ingenua, è: se sono tutti così di successo, acclamati, centrati e ricchi, come mai si perticano ogni giorno in racconti di questo tipo?
Vedo spesso persone che conosco, con cui interagisco o con cui ho lavorato mentire. Fornire versioni completamente distorte di un evento, manipolare i dettagli, inventare. No, non sto parlando di storytelling, qualunque cosa significhi a questo punto e in questo contesto. Sto parlando di una forma molto allargata di etica del racconto, che sia personale o aziendale.
E non è facile rimanere adesi alla propria etica quando il mezzo che usi per amplificare ciò che fai sostanzialmente di dice di mentire, di esagerare o tutte e due le cose. Inoltre, una metrica significativa per Linkedin è il tempo di permanenza su ogni contenuto, perché è un segnale più forte di un semplice like.
Queste finte storie molto prolisse e fintamente umili (in gergo: humilbrags) sono oro per la piattaforma: perché chiunque le legga, le commenti o ci interagisca aumenta il proprio tempo di permanenza su quel contenuto, spingendolo in alto sull’algoritmo.
I cani ammaestrati preferiti di Linkedin sono i recuiter e i CEO maschi agée. Perché ci insegnano a vivere, ci parlano del merito (che giubilo per loro il nuovo Ministero, mi immagino), delle difficoltà e di come siamo importanti- noi del volgo- per il sistema, perché siamo noi a generare valore.
Ora, non so esattamente cosa ci faccio su Linkedin e cosa cerco lì sopra. Ma so che esiste anche una piccolissima nicchia parallela di persone che sono interessanti, che non sono fintamente umili e i cui contenuti non vengono premiati a sufficienza. Vado in giro col lanternino ma li trovo. E loro sì, che sanno come comportarsi. Ma mica su Linkedin, dico in generale. Con alcuni e alcune ho stretto collaborazioni durature e belle.
Mi è venuto in mente adesso che forse tutto questo cringe è il contrappasso per incontrare essere umani decenti.
Vorrei solo imparare a digerirlo un po’ meglio.
So che è passato un po’ di tempo dall’ultima uscita di BTL. Ho i miei motivi, giuro: sto lavorando ad alcuni progetti (magari ti è capitato di vedere questa campagna) e comunque la faccenda del nuovo governo mi ha lasciato un po’ paralizzata.
Anyway:
Domani sera, alla Libreria Feltrinelli di Piazza CLN a Torino presento Scrittura Ribelle con Domitilla Ferrari e Marta Pettolino Valfré. Se passi da quelle parti per un saluto mi fa piacere.